Dossier Moro: i documenti sulla seduta spiritica con Romano Prodi

Dossier Moro: i documenti sulla seduta spiritica con Romano Prodi

Premessa: da Zappolino al territorio di Gradoli nel viterbese (2-6 aprile 1978)
Giovedì 6 aprile 1978: sono trascorsi 22 giorni dalla strage di via Fani e dal sequestro di Aldo Moro. Apparentemente è un giorno che trascorre senza avvenimenti particolarmente eclatanti. Solo molto tempo dopo quella data, e nel corso di molti anni, si verrà a sapere che in quel giorno si conclude una sequenza di avvenimenti che avevano preso avvio la precedente domenica 2 aprile. Ci riferiamo alla vicenda della “seduta spiritica” che per le unanimi dichiarazioni delle dodici persone che vi parteciparono, ribadite di fronte all’autorità giudiziaria e a due commissioni parlamentari nel corso di un ventennio, tra il 1978 e il 1998, si svolse a Zappolino, una località situata a una trentina di chilometri da Bologna. Da quanto riferito dai partecipanti, che in quella circostanza evocarono gli spiriti di Giorgio La Pira e don Luigi Sturzo, ad un certo momento della “seduta” emerse la parola “Gradoli”, insieme con “Bolsena” e “Viterbo”. Quella parola fu intesa come un luogo dove le Brigate rosse avrebbero potuto tenere prigioniero Aldo Moro. Il nulla di fatto seguito a quella “rivelazione” avrebbe fatto presto dimenticare questo episodio che sarebbe finito rapidamente nell’oblio.
Ma il 18 aprile 1978, a Roma in via Gradoli al numero civico 96, venne scoperta, a causa di un allagamento, un’importantissima base delle Brigate rosse nella quale abitavano Mario Moretti (alias “Mario Borghi”) e Barbara Balzerani, che però sfuggirono alla cattura.
Questo fatto, con le peculiari modalità dell’emersione dell’informazione su “Gradoli” e la notorietà assunta da alcune delle persone partecipanti a quella “seduta”, in particolare i professori universitari Romano Prodi, Alberto Clò e Mario Baldassarri, che ricoprirono poi rilevanti incarichi politici, nel caso di Prodi fino alla presidenza del Consiglio e della Commissione Europea, hanno reso quella vicenda un episodio costantemente ricordato nella voluminosa storiografia sul caso Moro. In uno dei numerosi lavori pubblicati nella primavera dello scorso anno, trentennale della tragica vicenda (F. Imposimato e S. Provvisionato, “Doveva morire. Chi ha ucciso Aldo Moro. Il giudice dell’inchiesta racconta”, Chiarelettere, Milano 2008, pp. 249-253), l’episodio di “Gradoli” e della “seduta spiritica” è annoverato tra le “occasioni mancate” (titolo di un capitolo di quel libro), occasioni che non portarono alla individuazione della “prigione” dove era detenuto Moro.
Nel quarto di secolo trascorso dalla pubblicazione della Relazione di maggioranza della Commissione Moro (giugno 1983) non sono emerse rilevanti novità sulla sequenza di eventi che si susseguirono tra il 2 e il 6 aprile 1978. Inoltre, per quanto nei tredici anni successivi al 1983 siano stati resi pubblici (in ben 130 volumi) tutti gli atti accumulati dalla stessa Commissione Moro, compresi naturalmente quelli utilizzati dalla Commissione stessa per ricostruire l’episodio di “Gradoli”, in parte della imponente storiografia sul caso Moro quella successione di eventi ha subito una sorta di metamorfosi che ha finito per rendere ancora più oscuro di quanto non lo fosse già di suo, questo piccolo tassello del gigantesco mosaico legato al sequestro dell’uomo politico democristiano.
In questo scritto non ripercorriamo in dettaglio tutta la vicenda, ma ci focalizziamo solo sull’evento conclusivo, ossia su quel che avvenne realmente nel territorio del comune di Gradoli il 6 aprile 1978.
Ricordiamo comunque in estrema sintesi le tappe del “viaggio” compiuto dalla “rivelazione” scaturita dalla “seduta spiritica” tra i giorni 2 e 5 aprile 1978:
– domenica 2 aprile 1978: Zappolino (Bologna), casolare di campagna del prof. Alberto Clò; “seduta spiritica” alla quale partecipano 12 persone, tra le quali i prof. Romano Prodi e Mario Baldassarri, in presenza di 5 bambini; emerge l’indicazione di “Gradoli” (in provincia di Viterbo) quale possibile luogo di detenzione di Aldo Moro, sequestrato il 16 marzo 1978 in via Fani;
– lunedì 3 aprile 1978: Bologna, facoltà di Scienze politiche, la “notizia” è fatta conoscere da Prodi ai colleghi docenti in attesa di partecipare al consiglio di facoltà, tra questi vi è il prof. Augusto Balloni;
– martedì 4aprile 1978: Roma, nei pressi della sede della Democrazia cristiana in piazza del Gesù, Prodi, a Roma per un convegno, incontra Umberto Cavina, dirigente dell’ufficio stampa della Dc, al quale comunica l’”informazione” riguardante “Gradoli” (si veda sotto);
– mercoledì 5aprile 1978: Roma, ministero dell’Interno, Luigi Zanda, addetto al gabinetto del ministro dell’Interno Francesco Cossiga, ricevuta per telefono la comunicazione di Cavina, stende un appunto manoscritto, e comunica a voce l’informazione alla Direzione generale di pubblica sicurezza (al capo della Polizia Giuseppe Parlato fa poi pervenire lo stesso appunto manoscritto) (si veda sotto).
Per una ricostruzione dettagliata si veda anche la sezione dal titolo “La seduta spiritica”, nel volume di Vladimiro Satta, “Odissea nel caso Moro”, Edup, Roma 2003, pp. 263-270 e le note alle pp. 294-297.
Lo spunto per cercare di chiarire gli eventi del 6 aprile 1978 ce lo offre un libro pubblicato alcune settimane fa, all’inizio del mese di marzo 2009, che ci dà inoltre la possibilità di presentare qui, per la prima volta, una nostra piccola scoperta. La nostra, pur essendo una modesta scoperta, rappresenta pur sempre una novità. Infatti, almeno per quanto ci risulta, nella pur voluminosa storiografia del caso Moro, le notizie che abbiamo reperito pare non siano mai state utilizzate. Le nuove informazioni che abbiamo raccolto non provengono da fonti “riservate”, da qualche polveroso archivio, o da qualche documento rimasto inaccessibile e desecretato recentemente, provengono molto semplicemente dalla consultazione di alcuni quotidiani risalenti a quei terribili e drammatici 55 giorni. La cosa può sembrare effettivamente sorprendente e destare meraviglia se si pensa alla sbalorditiva e quasi inquantificabile quantità di carte che sono state prodotte nel corso dei 31 anni trascorsi da quella tragica primavera del 1978. Ciò dimostra che anche le “fonti” apparentemente più banali, come possono sembrare i giornali, sono in grado di riservare delle sorprese.
Verità e finzioni sul 6 aprile 1978 negli “Anni di piombo” di Baldoni e Provvisionato (2009)
Fatta questa premessa, passiamo ad esaminare quanto scrivono Adalberto Baldoni e Sandro Provvisionato nel libro al quale accennavamo poco sopra, vale a dire “Anni di piombo. Sinistra e destra: estremismi, lotta armata e menzogne di Stato dal Sessantotto a oggi” (Sperling & Kupfer, marzo 2009) un voluminoso tomo di oltre 750 pagine. Il capitolo 10 (pp. 323-375) è interamente dedicato al “caso Moro”.
Abbiamo scelto di analizzare un frammento di questo libro non per spirito polemico nei confronti degli autori, ma perché sull’episodio di “Gradoli” questo volume esemplifica bene una situazione: ossia che le buone intenzioni, ossia il tentativo di rovesciare una qualche “falsa verità” possono portare, a volte, paradossalmente, a costruire delle nuove “leggende metropolitane”.
Si legge a p. 336 di quel volume a proposito dell’esito finale della “seduta spiritica”: “La ricerca da parte degli inquirenti non si indirizzò, però, verso via Gradoli, e neppure, come si è sempre creduto, verso il paesino di Gradoli, in provincia di Viterbo, [nota 19] che in realtà il 6 aprile 1978 non fu affatto letteralmente occupato manu militari come si è sempre sostenuto e come la tv di Stato mostrò attraverso immagini di repertorio”.
Un esempio del “come si è sempre sostenuto” lo possiamo ritrovare, curiosamente, anche nel precedente libro scritto dallo stesso Provvisionato insieme al magistrato Ferdinando Imposimato (”Doveva morire”, Chiarelettere, Milano febbraio 2008), dove alla p. 250 si trova scritto: “La polizia, il 6 aprile 1978, frugherà alla disperata, con grande dispiego di forze e sfondamento di porte, le case, le cantine, perfino le grotte del piccolo paese di Gradoli, in provincia di Viterbo”.
E nella nota 19 della stessa pagina 336 leggiamo: “Il regista Carlo Infanti, nel suo film Moro, la verità negata del 2008, ha intervistato tutti i componenti del consiglio comunale del paese di Gradoli (Viterbo) in carica all’epoca del sequestro Moro, sindaco e assessori compresi. Nel film gli stessi riferiscono che mai forze di polizia si recarono a Gradoli e tanto meno alla ricerca di qualche vittima di rapimento”.
Carlo Infanti con le sue interviste ai componenti della giunta comunale di Gradoli ha in effetti portato uno dei pochi nuovi contributi chiarificatori su questa vicenda. Dal libro di Manlio Castronuovo, “Vuoto a perdere. Le Brigate Rosse, il rapimento, il processo e l’uccisione di Aldo Moro”, edizione riveduta e ampliata, BESA, Nardò 2008, pp. 308-309 trascriviamo la testimonianza del vice sindaco di Gradoli in carica nel 1978, tratta dal film di Infanti: “«l’unica cosa che si vide furono due posti di blocco nei due bivi di ingresso nel paese. Ma dentro Gradoli non vi fu nessuna ispezione, né perquisizione. Niente. Le uniche cose che abbiamo saputo, in seguito, è che perquisizioni furono fatte in alcune grotte nelle vicinanze del paese e in casali abbandonati nella campagna, noi non sapevamo niente. Quello che poi è stato fatto successivamente vedere, anche in alcuni film di perquisizioni all’interno del paese sono cose tutte completamente false: non esistono […] Quella sera vennero da me due corrispondenti locali del “Messaggero”, dell’”Avanti” e dell’”Unità” e mi dissero che in paese si diceva vi fosse Aldo Moro. Ricordo che gli dissi che qui Moro non c’era. Neanche loro, il giorno dopo scrissero una riga sulla questione pur essendo venuti a controllare di persona»”.
Occorre però puntualizzare che il testo di Baldoni e Provvisionato, non fornendo ulteriori precisazioni, suggerisce nel lettore l’idea, come precisato poco dopo, che il 6 aprile non ci sia stata alcuna operazione di ricerca neppure nel circostante territorio del comune di Gradoli.
Qui possiamo renderci conto di un grave limite che una parte della storiografia sul caso Moro esibisce su questo episodio (e temiamo anche su altre tessere dell’intricato mosaico): ossia l’uso parziale e selettivo o anche il non utilizzo della documentazione fondamentale già pubblica da molti anni a questa parte e ampiamente nota.
Baldoni e Provvisionato continuano poi avvitandosi in una bizzarra considerazione: “Nonostante la mai avvenuta operazione di polizia avesse avuto risalto sui giornali e nei telegiornali, Moretti – che in via Gradoli viveva con Barbara Balzerani – rimase per altri dodici giorni in quel covo da ritenersi a rischio. Come mai i due brigatisti erano tanto tranquilli? Non era forse ipotizzabile che una battuta di polizia nel paese di Gradoli (che non fosse mai avvenuta Moretti non poteva saperlo) si sarebbe potuta spostare, in seguito, proprio in via Gradoli?”.
Ma come hanno fatto i giornali e i telegiornali a dare risalto ad una “operazione di polizia” che gli autori dichiarano”mai avvenuta”? Hanno compiuto un gigantesco falso mediatico? Come ci sono riusciti? E per quale motivo? In realtà la cosa è più semplice: l’operazione di polizia ci fu davvero (più avanti spieghiamo esattamente dove) ma telegiornali e giornali la ignorarono del tutto, almeno nei giorni del 6 e 7 aprile e in quelli immediatamente successivi. Ecco il motivo per cui Moretti e Balzerani rimasero nel covo di via Gradoli fino alla mattina del 18 aprile. Non avevano motivo di allarmarsi.
Eventi e documenti di “una giornata particolare”
Già consultando la Relazione di maggioranza della Commissione Moro (giugno 1983) ci si poteva rendere conto che le nuove informazioni fornite nel film del regista Carlo Infanti non erano in contraddizione con quanto si può leggere in quella stessa relazione (p. 39 = p. 109 del libro “Dossier delitto Moro”, a cura di Sergio Flamigni, Kaos maggio 2007, che alle pp. 57-313 ripubblica appunto la Relazione di maggioranza della Commissione Moro):
Il nome Gradoli venne di nuovo in evidenza il 6 aprile, ma non come strada urbana di Roma, bensì come paese, allorché vennero controllate, ad opera della Questura di Viterbo, alcune case coloniche nel comune di Gradoli, vicino al lago di Bolsena”.
Ben difficilmente si possono trovare delle “case coloniche” all’interno di un paese, qualunque esso sia. Tuttavia, al termine della ricostruzione dell’episodio di “Gradoli”, alla pagina 43 (= p. 114, ed. Flamigni) della stessa Relazione di maggioranza, si poteva leggere un’affermazione in contrasto con la precedente, che poteva essere fonte di ambiguità e incertezza:
Da ultimo non può non rilevarsi che a Gradoli paese, dopo la segnalazione conseguente alla “seduta spiritica”, l’ispezione fu compiuta da uomini della Questura di Viterbo il 6 aprile”.
Per dissipare queste ambiguità è necessario consultare la documentazione di base utilizzata e parzialmente citata nella stessa Relazione di maggioranza.
Si tratta di due soli documenti (non presi in considerazione da Baldoni e Provvisionato, e neppure nel precedente volume di Imposimato e Provvisionato), resi pubblici negli atti della Commissione Moro nel 1988 (nel vol. XXVII, p. 33 e p. 35). La fondamentale importanza di questi due testi consiste nel fatto che sono stati redatti il 5 e il 6 aprile 1978 e sono gli unici documenti agli atti della Commissione Moro scritti durante i 55 giorni del sequestro che riguardano la vicenda dell’informazione su “Gradoli” scaturita dalla “seduta spiritica”.
Per maggiore leggibilità trascriviamo integralmente i due testi. Gli originali si possono consultare nel sito internet del Senato della Repubblica.
Il primo documento consiste nell’appunto manoscritto redatto da Luigi Zanda, addetto al gabinetto del ministro dell’Interno Francesco Cossiga, che recepisce le informazioni che gli comunica Umberto Cavina, dirigente dell’ufficio stampa della Dc, su due possibili ubicazioni della “prigione” in cui era sequestrato Aldo Moro. La prima riguarda un indirizzo di Milano, suggerito da fonte non identificata; la seconda concerne l’”informazione” scaturita dalla “seduta spiritica” del 2 aprile 1978, ed è quanto il prof. Romano Prodi aveva comunicato a Umberto Cavina il 4 aprile.
 Il testo è datato “5/4/78″,ma da mano diversa da quella di Luigi Zanda, forse la stessa che ha vergato anche le due annotazioni che seguono i due appunti scritti da Zanda, il quale consegnò questo foglio alla Direzione generale di pubblica sicurezza, ossia al capo della Polizia Giuseppe Parlato. Altra diversa mano ha aggiunto la nota finale.
Il testo originale è tutto manoscritto.
5/4/78
Caro dottore,
ecco le indicazioni di cui s’è detto:
– CASA GIOVONI
VIA MONREALE 11, Scala D, int. 1
piano terreno – MILANO [altra mano] – ore 20 – Interessato telefonicamente
il Questore di Milano –
– lungo la statale 74, nel piccolo tratto in provincia di Viterbo, in località GRADOLI, casa isolata con cantina [altra mano] – ore 10 del 6-4-78 Interessato
il Questore di Viterbo che alle
ore 13 ha comunicato che il sopralluogo
ha dato esito negativo –
con molti saluti cordiali
Luigi Zanda
[altra mano]
18/4 ore 16,00 circa
inviata copia fotostatica
al dr. Zanda che ne ha fatta richiesta”
Il secondo documento, 6 aprile 1978, è una breve relazione scritta dal vice questore di Viterbo che comandò l’operazione di polizia e carabinieri (che Baldoni e Provvisionato, nel libro sopra citato, pretendono “mai avvenuta”) alla ricerca della “prigione” di Moro. Si tratta dell’anello terminale degli eventi messi in moto il 2 aprile. Da notare che in entrambi i documenti ricorre identica la stessa espressione “casa isolata con cantina”, che è quindi un nucleo fondamentale della notizia circolata in quei giorni.
Il testo originale è dattiloscritto.
AL SIG. QUESTORE
S E D E
^^^^^^^^^^^^
In relazione all’appunto verbalmente comunicatomi e relativo al controllo di non meglio indicata casa isolata con cantina in territorio del comune di Gradoli è stato oggi effettuato dalle ore 11,30 un accurato rastrellamento nella zona indicata ivi ispezionando varie case coloniche in stato di apparente abbandono con le relative dipendenze, nonché grotte e ripari naturali.-
Non è stato riscontrato alcun elemento sospetto.-
Alla battuta hanno preso parte, agli ordini dello scrivente, personale dell’U[c]igos con un altro funzionario, il Tenente dei Carabinieri comandante la Tenenza di Tuscania e complessivamente n. 22 militari tra Guardie di P.S. e Carabinieri.-
Viterbo, 6 aprile 1978
IL VICE QUESTORE AGG. DI P.S.
(Dr. Fabrizio Arelli)”
La nostra “scoperta”
Abbiamo reperito quattro testate giornalistiche che riportano brevi notizie su quanto avvenne nel comune di Gradoli il 6 aprile 1978. Queste notizie furono pubblicate però il 22 e 23 aprile 1978 rispettivamente dall’”Unità”, dal “Messaggero”, dal “Resto del Carlino” e dalla “Repubblica”. Integrano e chiariscono la documentazione della Commissione Moro.
A nostro avviso l’importanza di queste notizie è duplice: di ordine geografico e cronologico. Da una parte emerge con precisione il luogo in cui avvenne “il rastrellamento” o “la battuta” o la “perquisizione” ossia “un’area di quattro chilometri quadrati, […] dalla località «Cantoniera di Latera» fino a un gruppo di casali isolati, a poca distanza dal paese” (Il Messaggero, 23 aprile 1978, p. 4), area situata a sud-ovest del paese di Gradoli, che quindi non venne effettivamente interessato da alcuna operazione di polizia. Dall’altra parte occorre notare la data di “emersione” di queste notizie, ossia i giorni 22 e 23 aprile 1978, vale a dire dopo la scoperta del covo brigatista di via Gradoli (la base principale della colonna romana delle Br, dove abitavano Mario Moretti – alias “Mario Borghi” – e Barbara Balzerani), avvenuta il precedente 18 aprile.
I testi delle quattro testate giornalistiche, che abbiamo trascritto qui di seguito, meritano alcuni ulteriori commenti e osservazioni.
Le notizie dei quattro quotidiani sono indipendenti le une dalle altre e paiono come “filtrate” da canali informativi non meglio esplicitati.
Il contesto è rappresentato ancora dagli strascichi della scoperta dell’importantissima base di via Gradoli, avvenuta solo quattro o cinque giorni prima. Ogni giornale apporta qualche prezioso frammento conoscitivo accanto ad alcuni errori o imprecisioni che cerchiamo di individuare.
  • – “l’Unità” è l’unico giornale che data con precisione (”il 6 aprile scorso”) le “perquisizioni” della polizia che vengono localizzate genericamente “nella zona di Gradoli”;
  • – “Il Messaggero”, vago nella cronologia (”nei giorni scorsi”) e impreciso nell’indicazione oraria del “rastrellamento” (”L’operazione era stata condotta nottetempo”, mentre in realtà era avvenuta intorno a mezzogiorno), è invece molto preciso nella localizzazione della perlustrazione (”un’area di quattro chilometri quadrati, […] dalla località «Cantoniera di Latera» fino a un gruppo di casali isolati, a poca distanza dal paese”);
  • – “la Repubblica” localizza invece la “vasta battuta” nel “paesino” di Gradoli;
  • – sia “l’Unità” sia “la Repubblica” rimandano alla Digos di Bologna come luogo d’origine dell’informazione riguardante “Gradoli”; un’informazione in parte errata poiché la Digos di Bologna smentì di aver mai ricevuto notizie su “Gradoli”; ma in parte veritiera perché era effettivamente a Bologna l’origine dell’informazione.
I testi pubblicati dai giornali il 22 e 23 aprile 1978 riguardanti il 6 aprile
l’Unità, 22 aprile 1978
Appunti scottanti nel covo BR?”, Sergio Criscuoli
p.3 […]
Tornando al «covo» di via Gradoli, da più parti è stata notata una singolare coincidenza. Un paio di settimane fa – precisamente il 6 aprile scorso – la polizia aveva compiuto numerose perquisizioni nella zona di Gradoli, un paese del Viterbese. Erano stati ispezionati casolari, grotte, cantine, anche abitazioni, ma senza risultati. Secondo una voce circolata ieri, sembra che quell’operazione fosse stata compiuta in base ad una segnalazione giunta al Viminale dalla Digos di Bologna. Se fosse vero, la cosa apparirebbe incredibile: perché non si pensò subito a via Gradoli, oltreché a Gradoli paese?
Il Messaggero, 23 aprile 1978, p. 4
Il «covo» è stato segnalato?
Perquisito un paese Si chiama Gradoli
Al covo di via Gradoli si è giunti attraverso una segnalazione? La tesi, già emersa nei giorni scorsi, si è rafforzata con un episodio di cui si è appreso nelle ultime ore: riguarda una battuta compiuta nei giorni scorsi in un paesino del Viterbese, con grande spiegamento di mezzi, ma senza risultati di rilievo. Era accaduto che la questura di Viterbo avesse ricevuto una segnalazione da Roma, anche se non dagli uffici della Digos. L’ordine, sulla base di segnalazioni non meglio specificate, era di rastrellare le campagne circostanti un paesino della provincia. L’operazione era stata condotta nottetempo: gli agenti avevano perlustrato un’area di quattro chilometri quadrati, spingendosi dalla località «Cantoniera di Latera» fino a un gruppo di casali isolati, a poca distanza dal paese. Ma l’aspetto più interessante sta proprio nel nome del piccolo centro: Gradoli, come la via del covo delle Br scoperto a Roma.
il Resto del Carlino, 23 aprile 1978
La famiglia cerca un intermediario”, Guido Paglia
p.1 – […]
p.2 – Le indagini […]
A proposito del «covo», si è saputo che già nove giorni fa era giunta alla polizia una segnalazione che indicava la via in cui le «Br» avevano ubicato quella che si è rivelata la «sala operativa» della «colonna» romana dell’organizzazione. Per un equivoco, però, le ricerche si spostarono nel Viterbese dove esiste un paese di nome Gradoli.
la Repubblica, 23 aprile 1978, p. 6
Si è appreso che in passato, nel corso dei quaranta giorni di indagini sul rapimento, gli uomini della Digos avevano ricevuto la segnalazione dai colleghi di Bologna di un «confidente» in seguito alla quale venne effettuata una vasta battuta in un paesino nei pressi di Viterbo. Nessun risultato. Si è poi saputo che il paesino era Gradoli. Lo stesso nome della strada nella quale, dopo una prima perquisizione a vuoto nello stesso palazzo in cui si trovava la base brigatista, è stato poi trovato, grazie all’ennesima «soffiata» il covo delle Br.
Una nuova ricostruzione degli eventi del 6 aprile 1978 nell’area di Gradoli
Combinando le informazioni contenute nei due documenti della Commissione Moro con quelle riportate dai giornali del 22 e 23 aprile 1978, si possono ricostruire nel modo seguente gli eventi accaduti nel territorio di Gradoli il precedente 6 aprile.
  • – alle ore 10 del 6 aprile 1978, a Roma, la Direzione generale di pubblica sicurezza, ossia la polizia diretta allora da Giuseppe Parlato, comunica al questore di Viterbo di cercare e controllare una “casa isolata con cantina”, lungo la strada statale 74 nell’area del comune di Gradoli, dove potrebbe essere tenuto prigioniero Aldo Moro;
  • – alle ore 11:30 dello stesso giorno il vice questore aggiunto di Viterbo comanda, insieme ad un funzionario dell’Ucigos e ad un tenente dei Carabinieri di Tuscania, un rastrellamento al quale partecipano 22 militari tra poliziotti e carabinieri;
  • – la battuta interessa un’area di quattro chilometri quadrati dalla frazione di Cantoniera fino ad un gruppo di casali isolati situati a sud-ovest del paese di Gradoli; vengono ispezionate case coloniche con le relative dipendenze, grotte e ripari naturali; il sopralluogo si protrae per poco meno di un’ora e mezza;
  • – alle ore 13 dello stesso giorno il questore di Viterbo comunica alla Direzione generale di pubblica sicurezza di Roma che il sopralluogo ha dato esito negativo.
Pertanto il centro abitato del paese di Gradoli, in provincia di Viterbo, non venne effettivamente interessato dalle operazioni delle forze dell’ordine il 6 aprile 1978; le testimonianze dei componenti della giunta comunale di Gradoli, registrate nel film di Carlo Infanti, “Moro, la verità negata” (2008), sono coerenti con la documentazione coeva della Commissione Moro e le informazioni pubblicate sui giornali il 22 e 23 aprile 1978.
Le agenzie di stampa, i giornali e la televisione non diffusero alcuna notizia di operazioni delle forze dell’ordine alla ricerca della prigione dove era rinchiuso Aldo Moro il 6 e 7 aprile e nei giorni immediatamente seguenti prima del 18 aprile, quando cioè venne scoperto il covo brigatista di via Gradoli a Roma. Le prime notizie del rastrellamento effettuato nell’area del comune di Gradoli, ma non all’interno del paese stesso, trapelarono sulla stampa solo nei giorni del 22 e 23 aprile.
Questa ricostruzione crediamo porti un contributo, per quanto modesto, per dissipare una parte delle cortine di nebbia che spesso si sono frapposte a oscurare una vicenda già di per sé “oscura”, quella degli eventi del 2-6 aprile 1978 originatisi dalla “seduta spiritica” da cui emerse l’informazione “Gradoli” come possibile luogo dove poteva essere tenuto prigioniero Aldo Moro.
La vera “fonte” di quella informazione resta uno dei pochi veri segreti della storia della cosiddetta prima Repubblica.
Per le ulteriori conseguenze che si possono trarre da questa nostra riconfigurazione della giornata del 6 aprile 1978 nell’ambito della critica storiografica del caso Moro, occorreranno di certo altri scritti.
Documenti e foto integrate dallo staff di Progetto Erebus.

AUDIZIONE DI ROMANO PRODI PRESSO LA COMMISSIONE MORO

10 GIUGNO 1981

  • PRESIDENTE: Debbo richiamare la sua attenzione sul fatto che la Commissione assume le sue dichiarazioni in sede di testimonianza formale e sulle conseguenti responsabilità in cui ella può incorrere, anche in relazione al dovere della Commissione di comunicare all’Autorità giudiziaria eventuali dichiarazioni reticenti o false (…)
  • ROMANO PRODI: Ripeto quanto ho già scritto nella mia lettera. In un giorno di pioggia in campagna, con bambini e con le persone che penso vedrete successivamente, perchè sono tutte qui, si faceva il cosiddetto «gioco del piattino» (…) Uscirono Bolsena, Viterbo e Gradoli. Naturalmente, nessuno ci ha badato; poi, in un atlante, abbiamo visto che esiste il paese di Gradoli. Abbiamo chiesto se qualcuno ne sapeva qualcosa e, visto che nessuno ne sapeva niente, ho ritenuto mio dovere, anche a costo di sembrare ridicolo, come mi sento in questo momento, di riferire la cosa (…)
  • CORALLO: Per farla sentire meno ridicolo, dato che questa sensazione è un po’ comune a tutti … Mi scusi, professore, vorrei dirle che la scrupolosità della Commissione parte da un’ipotesi che dobbiamo accertare essere inesistente, e cioè – non credo molto agli spiriti – se ci possa essere stato qualcuno capace di ispirarli (…) Chi partecipò attivamente al gioco? Voi eravate tanti, però un ditino sul piattino chi lo metteva?
  • ROMANO PRODI: A turno tutti: c’erano 5 bambini; era una cosa buffa. Non crediamo alla atmosfera degli spiriti e che ci fosse un medium. Io le dico: tutti; anch’io ho messo il dito nel piattino (…)
  • PRESIDENTE: Non c’era un direttore dei giochi?
  • ROMANO PRODI: No. Bisogna vedere come se ne sono impadroniti i giornali; come di una seduta medianica, che non so nemmeno cosa sia, ma era un gioco collettivo invece, come tutti facemmo in quel momento; l’ho imparato dopo.
  • LAPENTA: Chi lanciò l’idea di questo gioco?
  • ROMANO PRODI: All’inizio il padrone di casa; non so… All’inizio ero in disparte con i bambini e dopo il gioco mi ha incuriosito.
  • FLAMIGNI: Come venne fuori la specificazione «casa con cantina»?
  • ROMANO PRODI: Ne sono venute fuori diecimila di queste cose: è venuto fuori «cantina», «acqua». In questo momento non lo ricordo nemmeno; il gioco è andato avanti per ore (…) Ripeto che non ho preso sul serio queste cose e, evidentemente, se non ci fosse stato quel nome, non avrei nè raccontato nè detto la cosa perchè cerco di essere un uomo ragionevole, onestamente.
  • FLAMIGNI: Nella testimonianza che lei ha reso al giudice dice: «Fui io a comunicare al dottor Umberto Cavina, nonchè il giorno prima alla Digos di Bologna attraverso un collega universitario, la notizia concernente la località: Gradoli, in provincia di Viterbo. A tale indicazione, con l’aggiunta che poteva trattarsi di una casa…»
  • ROMANO PRODI: Guardi, non me lo ricordavo neanche per il poco peso che gli ho dato. Ne sono saltate fuori tante di queste cose! Tutti hanno detto che non conoscevano questo paese; questo era importante.
  • PRESIDENTE: La notizia era talmente importante che se l’avessero ben utilizzata, le cose probabilmente sarebbero cambiate.
  • ROMANO PRODI: Non ho mai creduto a queste cose … sarà stato un caso.
  • COLOMBO: Tutte le persone parlavano di un paese…
  • ROMANO PRODI: Bolsena, Viterbo, Gradoli; si faceva la targa VT; i monti Volsini… ripeto, dopo si dava importanza perchè avevamo visto dove erano; con la carta geografica in mano, fa tutti i «ballottini» che vuole…
  • CORALLO: «Ballottini» sta per piccoli imbrogli.
  • ROMANO PRODI: Con la carta geografica davanti davanti, lei capisce non è più…Scusi l’espressione.
  • FLAMIGNI: Dopo la seduta spiritica…
  • ROMANO PRODI: No, era veramente un gioco.
  • FLAMIGNI: Non si può chiamare seduta spiritica.
  • ROMANO PRODI: Non me ne intendo; mi dicono che ci vuole un medium.
  • FLAMIGNI: Comunque il risultato, la conclusione è che almeno quando viene fuori la parola «Gradoli» le si attribuisce importanza perchè lo si comunica alla segreteria nazionale della Dc, al capo della Polizia; poi, si muove tutto l’apparato.
  • ROMANO PRODI: Quando l’ho comunicato a Cavina m’ha detto che ce ne sono state quarantamila di queste cose. Fino al momento del nome, non era stato molto importante; per scrupolo (…) lo comunichiamo (…)
  • FLAMIGNI: Lei venne appositamente a Roma per riferire a Cavina?
  • ROMANO PRODI: No, era un convegno…non ricordo su che cosa, e dovevo venire a Roma.
  • FLAMIGNI: E quanti giorni dopo il «giochetto»?
  • ROMANO PRODI: Due-tre, non ricordo (…)
  • FLAMIGNI: Chi interpretava le risposte del piattino?
  • ROMANO PRODI: Un po’ tutti. Era semplice, vi erano le lettere, si mettevano in fila e si scrivevano.
  • FLAMIGNI: Bisognerebbe capire qual era esattamente lo svolgimento del gioco (…) quali erano le domande poste.
  • ROMANO PRODI: Le domande erano: dov’è? perchè? Moro è vivo o morto? Del resto, persone che hanno fatto altre volte il «piattino» sanno di che cosa si tratta e possono darle spiegazioni più esaurienti.
  • BOSCO: Chi erano le persone che l’avevano fatto altre volte?
  • ROMANO PRODI: II professor Clò, ad esempio, ed altri che risponderanno perchè sono tutti qui (…)
  • FLAMIGNI: (…) sarebbe importante quantificare quali furono le domande.
  • ROMANO PRODI: Questo non ha niente a che fare con la tecnica del gioco ed è evidente che me lo ricordi. Le domande erano: dov’è Moro? Come si chiama il paese, il posto in cui è? In quale provincia? E nell’acqua o nella terra? E’ vivo o morto?
  • FLAMIGNI: Quali erano le risposte ad ognuna di queste domande?
  • ROMANO PRODI: Qui intervengono problemi tecnici sui quali potranno essere date spiegazioni più esaurienti delle mie; comunque, vi erano delle lettere su un foglio e il piattino, muovendosi, formava le parole e indicava sì o no.
  • FLAMIGNI: Che cosa succede: uno mette il dito su questo piattino?
  • ROMANO PRODI: No, tutti.
  • FLAMIGNI: Ad un certo momento parte un impulso per cui il piattino si sposta e va su una lettera?
  • ROMANO PRODI: Sì. Posso comunque dire che, dopo questa esperienza, ho trovato tanta gente che mi ha confessato di aver fatto la medesima cosa.
  • CORALLO: (…) Di solito, quando il piattino comincia a muoversi, la domanda che si fa è: chi è l’interlocutore, lo spirito con il quale ci si intrattiene.
  • ROMANO PRODI: Alla fine è accaduto anche questo, ma all’inizio no. C’è stato chi ha detto: interroghiamo Don Sturzo o La Pira, ma le prime risposte, in un primo momento, erano soltanto sì o no.
  • CORALLO: L’interlocutore era dunque ignoto.
  • ROMANO PRODI: All’inizio sì, poi vi furono anche interlocutori vari tra i quali, per quel che mi ricordo, Don Sturzo (…)
  • CORALLO: Si trattava dunque di un gioco in famiglia, tra amici. Un’ultima domanda professore: tra i partecipanti, vi era anche qualche esperto di criminologia?
  • ROMANO PRODI: No, assolutamente no (…) Tra i partecipanti alla seduta vi ero io, che sono un economista, il professor Gobbo, che ha la cattedra a Bologna di politica economica, il professor Clo, che ha l’incarico di economia applicata all’Università di Modena e che si interessa di energia, ma di petrolio, non di fluidi. Vi era anche suo fratello che è un biologo (non so di quale branca, anche se mi pare genetica) e vi era anche il professor Baldassarri che è economista, ha la cattedra di economia politica all’Università di Bologna. Tra le donne vi erano mia moglie, che fa l’economista, la moglie del professor Baldassarri, laureata in economia, ed altre che non so cosa facciano professionalmente.
  • SCIASCIA: Nella lettera che è stata mandata alla Commissione, firmata da tutti voi, si dice che la proposta di fare il gioco è partita dal professor Clo.
  • ROMANO PRODI: Perchè era il padrone di casa.
  • SCIASCIA: Nella lettera si aggiunge che tutti vi parteciparono a puro titolo di curiosità e di passatempo, che la seduta si svolse in un’atmosfera assolutamente ludica.
  • ROMANO PRODI: Vi erano cinque bambini al di sotto dei dieci anni!
  • SCIASCIA: Si dice anche che nessuno aveva predisposizione alcuna di tipo parapsicologico o, comunque, pratica di queste cose, ma una certa pratica di queste cose qualcuno doveva pur averla!
  • ROMANO PRODI: Certo, a livello di gioco, la tecnica era conosciuta; però pratica di queste cose direi che non vi fosse. Ripeto, a posteriori, mi sono reso conto che vi è gente che tutte le sere lo fa!
  • SCIASCIA: Tra i dodici, qualcuno aveva pratica di queste cose?
  • ROMANO PRODI: Intendiamoci sulla parola pratica, onorevole Sciascia. Se qualcuno lo aveva fatto altre volte voi lo potrete sapere chiedendo agli altri, ma nella nostra lettera abbiamo detto che non vi era nessuno che, con intensità, si dedicava a questo. naturalmente vi era qualcuno che, altre volte, l’aveva fatto.
  • SCIASCIA: Francamente, io non saprei farlo.
  • ROMANO PRODI: Anche io non sapevo farlo! Non ne avevo la minima idea e, infatti, mi sono incuriosito moltissimo.
  • SCIASCIA: La contraddizione che emerge è questa: se c’è una seduta di gente che crede negli spiriti o, comunque, nella possibilità che si verifichino fenomeni simili, se c’è una seduta di questo genere – ripeto – e ne viene fuori un certo risultato del quale ci si precipita ad informare la Polizia ed il Ministero dell’Interno lo posso capire benissimo, ma che si svolga tutto questo in un’atmosfera assolutamente ludica, presenti i bambini, per gioco, e che poi si informi di ciò la Polizia attraverso la mediazione di uno che non era stato presente al gioco, e se ne informi quindi il Ministero dell’Interno, a me sembra eccessivo e contraddittorio.
  • ROMANO PRODI: Ma è venuto fuori, onorevole, un nome che nessuno conosceva! Anche se ci siamo trovati in questa situazione ridicola, noi siamo esseri ragionevoli. Ci siamo chiesti tutti: Gradoli nessuno di voi sa se ci sia? Se soltanto qualcuno avesse detto di conoscere Gradoli, io mi sarei guardato bene dal dirlo. E’ apparso un nome che nessuno conosceva, allora per ragionevolezza ho pensato di dirlo.
  • SCIASCIA: Direi per irragionevolezza.
  • ROMANO PRODI: La chiami come vuole. La motivazione reale è che con una parola sconosciuta, che poi trova riscontro nella carta geografica, a questo punto è apparso giusto per scrupolo…
  • SCIASCIA: Poteva far parte della insensatezza del gioco anche il nome Gradoli.
  • ROMANO PRODI: Però era scritto nella carta del Touring.
  • SCIASCIA: La signora Anselmi dice che seguirono dei numeri che poi risultarono corrispondere sia alla distanza di Gradoli paese da Viterbo sia al numero civico e all’interno di via Gradoli.
  • ROMANO PRODI: Questo proprio non mi sembra … c’era sul giornale…
  • SCIASCIA: La signora dice di aver sentito questo dal dottor Cavina.
  • ROMANO PRODI: Onestamente io non.. Non avrei difficoltà a dirlo.
  • CORALLO: Nell’appunto di Cavina c’è il numero della strada.
  • ROMANO PRODI: Può darsi che negli appunti ci sia perchè dopo abbiamo visto sulla carta, strada statale, i monti vicini. L’importante è che si trattava del nome di un paese che a detta di tutti nessuno dei presenti conosceva. Capisco che era tutta un’atmosfera irragionevole, però…
  • SCIASCIA: Non mi sembra determinante il fatto che non si conoscesse il nome. Viterbo si conosceva e poteva benissimo trattarsi anche di Viterbo.
  • ROMANO PRODI: Se fosse stato Viterbo, non ci avrei badato perchè si può sempre comporre una parola che si conosce.
  • SCIASCIA: Chi ha deciso di comunicare all’esterno il risultato della seduta?
  • ROMANO PRODI: L’ho fatto io perchè ero l’unica persona che conoscesse qualcuno a Roma. Ho parlato con tutti, con Andreatta etc. Non è che ho telefonato d’urgenza; ho detto vado a Roma e lo comunico. Questo è stato deciso una volta che si è saputo che esisteva questo paese che nessuno conosceva.
  • SCIASCIA: Ora le farò una domanda che farò a tutti. Lei ha mai conosciuto nessuno accusato o indiziato di terrorismo?
  • ROMANO PRODI: Mai.
  • COVATTA: II senso della domanda è se qualcuno aveva interesse ad ispirare gli spiriti.
  • ROMANO PRODI: E’ sempre la domanda che mi sono sempre posto anch’io.
  • BOSCO: All’interrogativo che si è posto, come ha risposto? Cioè se qualcuno poteva aver ispirato gli spiriti.
  • ROMANO PRODI: Lo escluderei assolutamente.
  • BOSCO: Quindi si è trattato di spiriti.
  • ROMANO PRODI: O del caso … Non so … Mi sembra che il senso della domanda dell’onorevole Covatta sia quello di chiedere se c’era qualcuno che voleva fare «il furbetto», spingendo in un certo modo o rallentando. Questo no. D’altra parte…
  • FLAMIGNI: Se avessimo ascoltato un riferimento di quella seduta in maniera molto impegnata e che i protagonisti credevano veramente allo spiritismo e alla possibilità di avere qualche forza in aiuto, allora mi darei una spiegazione, ma proprio perchè il professor Prodi parla di tutto ciò come un gioco, la mia curiosità si accentua. Ritengo che qualcuno potesse anche sapere. Parto da questa considerazione per dire che voglio conoscere le domande effettive e le risposte che sono venute fuori.
  • ROMANO PRODI: Ho detto le domande effettive e le risposte. Uno dei problemi che si pone per una cosa del genere è proprio quello contenuto nella sua domanda. Crede che quando è uscito il nome di via Gradoli io non mi sia posto il problema di chiedermi se c’era qualcuno che faceva il furbo? Altrimenti non sarei qui in questa situazione in cui mi sento estremamente imbarazzato ed estremamente ridicolo (…)

TUTTE LE CONTRADDIZIONI DI PRODI SUL COVO DEL SEQUESTRO MORO

L’episodio più ambiguo nella sfuggente personalità di Romano Prodi è la celeberrima seduta spiritica incentrata sul sequestro Moro.
L’Italia è in subbuglio per il leader dc volatilizzato e Prodi che fa? Chiede lumi agli spiriti. Accantoniamo gli interrogativi su una simile iniziativa presa da un uomo pio e praticante, e veniamo a quel 2 aprile 1978.
Sono trascorsi 17 giorni, numero cabalistico, dall’agguato di Via Fani. È domenica e 17 persone, numero cabalistico, sono riunite nella casa di campagna di Alberto Clò, docente bolognese, futuro ministro nel 1995 del governo Dini. Il rustico è a 30 km da Bologna, in una località isolata, detta Zappolino.
All’ora di pranzo, i commensali sono 13, numero cabalistico: Romano e Flavia Prodi, Fabio Gobbo (allievo di Romano), Adriana, Alberto, Carlo e Licia Clò, i padroni di casa, Francesco e Gabriella Bernardi, Emilia Fanciulli e tre bambini. Finito il pasto, le signore sparecchiano e i marmocchi si mettono a giocare. Degli altri, qualcuno ha l’idea di evocare le anime di Don Luigi Sturzo e di Giorgio La Pira per saperne di più sulla sorte dell’ostaggio delle Br. Adocchiano un tavolino quadrato, ci poggiano sopra un foglio con le lettere dell’alfabeto e cominciano a interrogare i defunti tenendo le mani sul piattino. Dopo tentativi infruttuosi, il piattino comincia a zigzagare sul foglio. Escono diverse località in cui Moro potrebbe essere prigioniero. Nomi banali, perché noti, come Viterbo e Bolsena, e quindi luoghi poco adatti a un nascondiglio. Poi, all’improvviso, muovendosi con decisione, il piattino scrive G-R-A-D-O-L-I. Nome mai sentito dai presenti che ignorano se la località effettivamente esista.
Prima di verificare, ripetono il tentativo e il piattino conferma, Gradoli. Poi, di nuovo: Gradoli. Lo farà una ventina di volte. Nel corso di questa reiterazione, giungono e si uniscono alla compagnia i quattro ritardatari: Mario Baldassarri, allora docente a Bologna, oggi viceministro dell’Economia, sua moglie Gabriella e i due pargoli. Ora nella casa di Zappolino sono in 17.
«Era una domenica uggiosa – mi ha raccontato Baldassarri in un’intervista un anno e mezzo fa -. Da Bologna, raggiunsi con moglie e bambini, la casa di campagna di Alberto Clò, dove c’erano già Prodi e gli altri… Li trovai seduti con le dita su un bicchierino che sembrava muoversi da solo. Pensai a uno scherzo per farmi paura. “Mi credono un ragazzo di campagna”, mi dissi. Cominciai a girare attorno al tavolino guardando sopra e sotto per scoprire il trucco. Ma facevano sul serio».
«Chissà che silenzio solenne», ho detto, interrompendo viceministro.
«Una bolgia. Dalla cucina rumore di stoviglie, i bambini zampettavano, uno dei presenti voleva fare le salsicce sul prato. Intanto il bicchierino zigzagava sul tabellone e alla domanda: “Dov’è Moro?“ dette la clamorosa risposta: “Gradoli”. E proprio in Via Gradoli a Roma, come si seppe mesi dopo, Moro era prigioniero delle Br. Me ne stupisco ancora». Questo il ricordo a distanza di Baldassarri, di cui riparleremo.
Ma torniamo a Zappolino, 28 anni fa. Gli spiritisti sospendono la seduta, consultano una carta stradale del Lazio e rintracciano Gradoli. È un comune sulle colline di Viterbo. Esiste davvero! Lo sconcerto è immenso.
Tolgono dal tavolino il foglio con l’alfabeto, spianano al suo posto la carta e riprendono il piattino (il bicchierino, secondo la testimonianza di Baldassarri). L’arnese si muove subito sulla pianta del Lazio e va sicuro sul nome Gradoli. Due, tre, quattro volte. Il responso di Don Sturzo e La Pira è ormai incontestabile.
L’indomani, 3 aprile, un Prodi eccitatissimo entrò trafelato nella sua Facoltà, quella di Scienze politiche del”Università di Bologna, iniziando a raccontare l’episodio domenicale a tutti quelli che incontrava. Ma appena scorse il professore di Criminologia, Augusto Balloni, non solo gli riferì della seduta, ma gli fece una proposta che lo lasciò di stucco.
Balloni quella richiesta non l’ha mai digerita. «Prodi – rievocò anni dopo – è una persona anche capace di pensare che i suoi stessi colleghi sono dei poveri idioti. Durante il sequestro… qualcuno deve avergli dato la prova di essere in contatto con Moro indicandogli la sede della prigione… Poi con un’impudenza che non ho mai scordato, si rivolse a me e disse: “Tu sei un criminologo di fama. Vai dai magistrati e parla di questa cosa di Gradoli. Però non ti permetto di citarmi come fonte”. “Al massimo andrò a Sant’Isaia dei matti (l’ex manicomio di Bologna)”, ribattei. Ma come si può ipotizzare che io vada da un magistrato… citando una fonte che vuole restare anonima, che cita un’altra fonte che non si sa chi sia?». Dunque, per Talloni, Prodi stava mentendo. Aveva saputo di Gradoli da qualcuno vicino alle Br e poi, per coprirne l’identità, aveva inscenato la seduta spiritica.
Il criminologo fu il primo di una lunga serie di increduli.
Il giorno dopo, 4 aprile, Prodi è a Roma, in Piazza del Gesù, sede della Dc. Nel cortile del palazzo parlotta con Umberto Cavina, portavoce del segretario del partito, Zaccagnini. Gli racconta della seduta e di Gradoli, spiega che era suo dovere riferire, che però di queste cose non si intende, non sa che altro fare e che insomma ci pensasse lui, Cavina, a inoltrare la notizia a chi di dovere. Per quanto lo riguardava, non vedeva l’ora di lavarsene le mani. L’interlocutore ringrazia Prodi che, lanciato il sasso, esce di scena. Cavina corre da Luigi Zanda, oggi senatore della Margherita, e fa la cosa giusta. Zanda era il segretario di Cossiga, cioè del ministro dell’Interno, supremo responsabile dell’indagine e il più adatto a valutare l’informazione.
Il resto è noto. Il 5 aprile, polizia e carabinieri si precipitano nel paese di Gradoli e non trovano nulla. Il 18 aprile scoprono invece un covo brigatista in Via Gradoli a Roma, fino a poco prima la prigione di Moro. Con l’equivoco tra via e paese, di Moro si persero le tracce fino all’8 maggio, quando il corpo fu rinvenuto nel bagagliaio di un’auto ferma in Via Caetani.
La vicenda era chiusa. Gli interrogativi rimanevano aperti. La seduta spiritica prodiana è stata vagliata da due commissioni parlamentari d’inchiesta. Davanti alla prima, del 1981, Prodi testimoniò: «Era un giorno di pioggia, facevamo il gioco del piattino… era la prima volta che vedevo cose del genere. Uscirono Bolsena, Viterbo, Gradoli.
.. Ho ritenuto mio dovere riferire. Se non ci fosse stato quel nome sulla carta, oppure fosse stato Mantova o New York, nessuno avrebbe riferito. Il fatto è che il nome era sconosciuto e allora ho riferito immediatamente».
Alberto Clò, il padrone di casa, precisò a proposito del piattino che «era di una tazzina da caffè, una di quelle in cui avevamo bevuto il caffè prima». Fabio Gobbo, l’allievo di Romano e futuro membro dell’Antitrust, parlò invece di «un posacenere» che girava «toccando le lettere sul foglio di carta». A essere pignoli, le contraddizioni non mancano. Per Prodi a muoversi è «un piattino», per Gobbo «un posacenere», per Baldassarri, «un bicchierino». Inoltre, Prodi dice che quella domenica «era un giorno di pioggia», per Baldassarri era «una giornata uggiosa». Antonio Selvatici, biografo di Prodi, ha condotto sul punto un’indagine fulminante. Consultando i dati del Servizio idrografico della stazione pluviometrica di Monte San Pietro a 1,2 km da Zappolino, ha scoperto che «quel giorno, in quella zona, in quelle ore… non cadde una goccia». Quanto basta per chiedersi se in quella domenica campagnola gli ospiti abbiano visto lo stesso film. Anzi, per dubitare del film stesso.
La seconda indagine parlamentare è del giugno 1998. L’intento della Commissione, presieduta dal ds Giovanni Pellegrino, era escludere che facendo il nome Gradoli si volessero in realtà avvertire le Br dell’avvicinamento delle forze di polizia al covo. Un sospetto grave che metteva in una luce sinistra la seduta spiritica da cui il nome di Gradoli scaturì.
Prodi, che nel ’98 era capo del governo, fu convocato da Pellegrino ma rifiutò di andare. Testimoniarono altri, come Baldassarri, mentre Romano, caparbio, negò il suo aiuto a fare chiarezza. Farà il bis, nel 2003, ignorando tre volte l’invito a presentarsi davanti alla Commissione d’inchiesta Telekom-Serbia. Un misto di superbia e di irresponsabilità.
Risultato: oggi, nessuno crede più che la prigione di Moro sia stata individuata dal piattino, alias bicchierino, alias posacenere di Zappolino. C’è unanimità, in ogni settore politico, sul fatto che Prodi abbia mentito. Il dc Andreotti ha detto: «Mai creduto alla questione dello spiritismo. Probabilmente è qualcuno di Autonomia operaia di Bologna che ha dato questa notizia». Il ds Pellegrino ha aggiunto: «Un chiaro espediente per fornire una notizia coprendone l’origine… che per me è negli ambienti dell’Autonomia universitaria di Bologna». Giovanni Galloni, seguace di Moro, si è indignato: «La seduta era un tentativo di fare una spiata… ma facendo di tutto per coprire la fonte». Galloni è stato anche vicepresidente del Csm, cioè del quartiere generale di quella magistratura che sulla vicenda fa le tre scimmiette da sei lustri.
Nessuno finora ha afferrato Prodi per la collottola ingiungendogli di dire la verità. Dormono le autorità, dorme la stampa e le illazioni infittiscono. L’ultima ipotesi, del gennaio 2005, è che ci sia lo zampino del Kgb sovietico. A suggerire Gradoli come prigione di Moro sarebbe stato un italiano al servizio di Mosca, tale Giorgio Conforti. Per coprire lui, sarebbe stata montata la seduta medianica, al cui centro c’è Prodi. Lo stesso Prodi che, bugiardo sospetto e reticente certo, vuole guidare l’Italia.
Fonte: Il Giornale, 20 marzo 2006





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